Oggi, 23 luglio, è la memoria di S. Brigida di Svezia, una delle donne più coraggiose della storia umana. Nel 1350, nella Roma del Giubileo, il II, ebbe a che fare con Annibaldo de Ceccano, legato pontificio, rappresentante del papa, che se n’era rimasto ad Avignone. I suoi rapporti con Annibaldo non furono buoni. Ne dà infatti un giudizio poco lusinghiero nelle sue opere ma forse si trattò di un equivoco. Serena Ravaglioli ne traccia un ritratto e a proposito di Annibaldo e Brigida, dice: Particolarmente severo era il giudizio sul clero, dedito a «ogni superbia, cupidigia e diletto della carne», tanto che in una rivelazione avuta in San Pietro, la città era apparsa a Brigida nella forma di un nido di vipere e di scorpioni: «Rospi e vipere vi sono ora dentro e i pesci della mia rete hanno paura del loro veleno e non osano levare il capo. Eppure i pesci si raduneranno ancora nella rete non così numerosi, ma in compenso più gustosi». Le Rivelazioni non sono, peraltro, l’unica fonte che riferisce di comportamenti tutt’altro che edificanti del clero romano in occasione di questo Giubileo: in una lettera del Papa stesso si ha notizia della sua preoccupazione per la venalità dei penitenzieri di San
Pietro, che dovettero essere rimossi e sostituiti, e per l’avidità dei canonici della Basilica che trattenevano per sé le elemosine ricevute dai pellegrini invece di devolverle, come era stato stabilito, per il restauro delle chiese rovinate dal terremoto. Avendo deciso di non venire di persona, Clemente VI inviò in sua vece il cardinale Annibaldo da Ceccano perché facesse il possibile per riparare agli abusi e frenare le frequenti violenze che si scatenavano in città. Annibaldo era uno dei cardinali più autorevoli e amava circondarsi di molto sfarzo, cosa che naturalmente non poteva renderlo gradito a Brigida. Quando gli inviò una lettera, sempre per manifestargli quanto fosse essenziale che il Pontefice ritornasse per sanare l’«infelicità» corporale e spirituale di Roma, gli diede l’appellativo di «scimmia», che poi restò attaccato come nomignolo all’irato cardinale. Eppure forse questi avrebbe meritato un poco più di indulgenza, considerando che era impegnato in un’opera veramente gravosa e tale da esporlo alla generale impopolarità. In particolare i romani non avevano gradito la disposizione che consentiva ai pellegrini di abbreviare il tempo del soggiorno a Roma in funzione della distanza percorsa per arrivare. Annibaldo era stato perfino oggetto di un attentato: mentre si recava da San Pietro a San Paolo, una freccia gli aveva trapassato il cappello tanto da indurlo, in seguito, a usare sempre l’elmo.
Chi vuol leggere il resto del contributo di Serena Ravaglioli, lo trova qui http://www.30giorni.it/articoli_id_14756_l1.htm
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