di Luigi Accattoli, per Il corriere della sera
Tra lo sgomento dei fedeli e la sorpresa del mondo, Benedetto XVI esce dalla storia ma resta nella sfera del Papato e realizza nei fatti una vera riforma della figura papale indicando ai successori una nuova possibilità di impersonarla oltre ogni debolezza, nascosti al mondo e vigili nell’intercessione, a silenziosa garanzia di una continuità che è sempre l’assillo principale di ogni “vescovo di Roma”.
Nei diciassette giorni che ci separano dall’atto della rinuncia compiuto l’11 febbraio abbiamo assistito al dipanarsi di un paradosso: quello di un Papa che lascia e con ciò modifica l’immagine papale più di quanto non l’abbiano fatto tutti i suoi predecessori dell’epoca moderna sommati insieme. Non ha soltanto stabilito il precedente della rinuncia per età e salute, già di suo così incisivo da costituire il primo motivo per cui gli altri Papi restavano al loro posto anche quand’era infermi, ma ha creato – con le disposizioni sul proprio futuro – la figura fino a oggi inedita del “Papa emerito”, che non porta più le Chiavi del governo della Chiesa ma resta “nel recinto di San Pietro” e accompagna “nel servizio della preghiera” il ministero del successore.
Con la discrezione e l’antiretorica che gli sono tipiche, il Papa teologo in queste singolari giornate di sospensione della vicenda bimillenaria del Pontificato Romano ha guidato la sua Chiesa all’accettazione di una totale novità: quella del passaggio dalla rinuncia al Papato come evento occasionale – già praticata nel Medioevo – alla rinuncia come ordinaria previsione offerta a ogni Papa del futuro e da ognuno praticabile secondo modalità che in questi giorni sono state via via indicate fino a configurare una forma compiuta di uscita dal governo papale che sia a un tempo permanenza, con diversa funzione, nella missione papale.
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